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Processo alla Sicilia

Nessuno come Pippo Fava è stato in grado di descrivere la violenza, l’infelicità, la crudeltà, la tirannia  della Sicilia ai tempi della mafia. Pippo Fava oggi non c’è più. Morto a quarant’anni, ucciso per mano dei boss a Catania. In quella stessa città in cui dicevano che la mafia non esisteva. Era il 5 gennaio 1984. Quella notte moriva un pezzo del giornalismo italiano.



Giuseppe Fava nasce a Palazzolo Acreide nel 1925. Si trasferisce a Catania per laurearsi in giurisprudenza, si sposa con Angela Corridore e diventa giornalista professionista nel 1952. Quattro anni dopo viene assunto a L’Espresso Sera, che lascia per diventare direttore del Giornale del Sud nel 1980. Intanto scrive libri e per il teatro: dal suo primo romanzo Gente di rispetto viene tratto il film diretto da Luigi Zampa. Da direttore Fava schiera il quotidiano contro l’installazione della base missilistica di Comiso e per l’arresto del boss Alfio Ferlito. Scampa a una bomba con un chilo di tritolo e il giornale viene sequestrato. Dopo il licenziamento i giornalisti occupano per una settimana la redazione. Alla fine l’editore decide di chiuderlo.


Fava intanto torna nel novembre 1982 con il mensile I Siciliani. Nel gennaio 1983 pubblica l’inchiesta “I quattro cavalieri dell’Apocalisse mafiosa”, che racconta le attività illecite di Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, collegandoli con il clan di Nitto Santapaola. Il 28 dicembre 1983 rilascia la sua ultima intervista a Enzo Biagi: «I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. [...] Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice nella gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale e definitivo l'Italia».


Il 5 gennaio 1984 Pippo Fava viene ucciso in via dello Stadio a Catania con cinque proiettili alla nuca mentre sta scendendo dalla sua Renault 5. All’inizio le indagini puntano su un’improbabile via passionale, poi virano sulle difficoltà economiche della rivista. Il sindaco Angelo Munzone rifiuta le esequie pubbliche e ribadisce che a Catania la mafia non esiste. Il processo si conclude in Cassazione nel 2003. Il mandante è il boss mafioso Nitto Santapaola, come esecutori vengono condannati Aldo Ercolano e il reo confesso Maurizio Avola. Il quale ha anche detto che l’omicidio è stato organizzato per fare un favore ad alcuni imprenditori catanesi e a Luciano Leggio. Nessun altro però è stato condannato in via definitiva. 

Riportiamo uno stralcio, autorizzato dalla fondazione Fava, del suo “Processo alla Sicilia”, una raccolta di inchieste di più di mezzo secolo fa, che sembrano più che mai attuali. 




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