Al Teatro del Gusto di Napoli Alessandro Marra, coordinatore regionale per la Campania della guida Slow food, ci porta alla scoperta di alcuni vini che si producono in questi territori
di Titti Casiello
Dalle Cinque Terre al Vesuvio, dalla Maiella all’Alta Murgia fino al Pollino in Calabria, la salvaguardia ambientale delle 870 aree protette che abbiamo in Italia passa anche per la viticoltura.
“E’ un legame indissolubile quello che esiste tra la viticoltura e la conservazione ambientale” spiega Alessandro Marra, coordinatore regionale per la Campania della guida Slow Wine, che nella degustazione tenutasi a Napoli durante l’edizione 2024 del Teatro del Gusto, ha attraversato alcuni dei “parchi del gusto” che compongono il nostro Belpaese.
Sono ventisei in tutto per un totale di tre milioni di ettari, senza contare, poi, le aree protette marine e quelle di costa.
Scrigni di biodiversità dal grande valore ambientale “all’interno dei quali è possibile promuovere la valorizzazione e la sperimentazione di attività produttive e agricole, come la coltivazione della vite” e dove i dettami e i metodi utilizzati spesso richiedono criteri molto più stringenti e vincolanti di quelli previsti da un regolamento biologico o da una conduzione biodinamica “perché sono aree ancor più delicate, che impongono necessariamente uno stretto legame tra la viticoltura e l’ambiente circostante”.
“È come se venisse richiesto un impegno antropico dell’agricoltore che, dinanzi a un territorio impervio o estremamente fragile, diventa responsabile della sua stessa custodia”.
Ed è una coscienza ambientale che viene ripagata attraverso la qualità di vini che sembrano raccontare la bellezza dei loro luoghi di origine in un rapporto di stretta connessione con l’autenticità dei loro produttori.
Al Teatro del Gusto di Napoli la rassegna di cinque dei 26 parchi del gusto
Pesce e vino, questo il binomio del Parco Nazionale delle Cinque Terre “entrambi gli odori da millenni si sono fusi in questa terra in una storica simbiosi” con quel modo di vivere fatto di muscoli (cozze), di acciughe salate di Monterosso e del vino delle occasioni importanti come lo Sciacchetrà “la fierezza dei liguri passa per l’orgoglio dei prodotti della loro terra” così da custodirla per non perdere nulla nell’oblio della memoria.
E questo nonostante non sia facile, con quei terrazzamenti impervi a picco sul mare, dove già solo a guardarli quella struggente bellezza si tramuta in una fatica immane. Come quella che da 25 anni si porta sulle spalle Walter de Battè: un uomo, un territorio e i suoi vitigni. Un unicum che da sempre rispetta e che l’ha portato nel 2009 anche ad ottenere la menzione di accademico dei Georgofili. Il tutto per salvaguardare la sua terra, come ha fatto per Saladero 2021 un bianco di Bosco, Vermentino e Albarola proveniente da una vigna poco distante dalle Cinque Terre che Walter ha strappato ad una scellerata azione di lottizzazione territoriale che l’avrebbe fatta scomparire da lì a poco.
In Campania, invece, miti e leggende circondano il Parco Nazionale del Vesuvio, dal più famoso Lacryma Christi frutto delle lacrime di un Dio addolorato per la perdita di Lucifero il suo angelo più buono all’amore smisurato che Bacco provava per queste terre raccontato dal poeta romano Marziale per vini come la Coda di Volpe, il Caprettone il Piedirosso o Per’ ‘E Palummo, lo Sciascinoso e la Falanghina.
Ma aldilà di un fascino epico, qui la testimonianza enoica risale già al 70 d.c. con il Monte Somma e quell’antico orcio vinario trovato nei pressi di una sorgente poco distante dalle sue pendici, retaggio di un commercio di vini che già viveva in epoca romana. E anche Andrea Matrone, a Boscotrecase, nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, è da una vita che fa il vino, con un sangue familiare che scorre tra i filari dal XVIII secolo. Essere vignaiolo per lui è stata una scelta di vita, voler essere presente in ogni fase di mutamento e trasformazione delle sue vigne e curarle mentre crescono insieme con l’ambiente circostante. Così pianta alberi Andrea più che vigne se ce n’è bisogno, recupera più che spianta e ascolta la natura più che le domande del mercato. Il suo Piedirosso Lacryma Christi del Vesuvio 2021 sembra che abbia saputo recepire tutto questo.
In Abruzzo, a cavallo tra due parchi, c’è quello della Maiella. Fa parte del Sistema di Geoparchi Mondiali Unesco e testimonia come lungo le sue pendici uomo e natura nel tempo abbiano piano piano imparato lo stesso linguaggio. Orti e vigneti a fondovalle, olivo sulle colline e pascolo brado in altura. Un meraviglioso equilibrio chiamato biodiversità, dove nella parte occidentale della Valle Peligna, tra basse rese, sano buonsenso ed esperienza contadina c’è la famiglia Pasquale, a Prezza, in provincia dell’Aquila, e la loro azienda agricola Praesidium. Caposaldo è il Montepulciano d’Abruzzo interpretato attraverso vini che rendono quasi impossibile stabilire una linea di confine tra la vigna e la cantina come quello offerto in degustazione, il Montepulciano d’Abruzzo Riserva 2018.
Una non tangibilità esiste, invece, per il Parco dell’Asinara “presente solo su carta, perché non ha ancora strutture operativa” precisa Marra, eppure qui la caparbietà sarda ha recuperato marze di Cannonau bianco e oggi, nonostante i tanti ostacoli delle istituzioni regionali per il suo riconoscimento che lo vedeva solo in rosso, viene vinificato da vignaioli attenti e sensibili come quello prodotto dalla cantina Pusole, l’Ogliastra Bianco Igt Karamare macerato alcuni giorni e affinato in acciaio che nasce da vigne ad alberello che affondano le loro radici su un terreno granitico e argilloso.
Il meridiano di confine, tra Calabria e Basilicata, passa per il Parco Nazionale del Pollino. Porta di ingresso che ospita le vette più alte del Sud Italia - superando i 2000 metri - ma che è anche compreso tra due mari, il Tirreno e lo Jonio. Qui la sua comunità, tra campi di lavanda e orti di melanzana rossa di Rotonda, ha trovato accoglienza in una natura tanto aspa quanto varia. E l’uomo allora la trasforma in prodotti unici e irripetibili come la soppressata, la ricotta o i liquori a base di Moscato di Saracena. Ed è proprio in questa località, a una cinquantina di chilometri dal mar Tirreno, che Giuseppe Calabrese lavora sulle uve autoctone di Magliocco dolce provenienti dai vigneti di Rinni e Piano di Gallo, vecchi filari di oltre 50 anni posti a circa 350 m slm., dai quali ne viene fuori un cesellato e artigiano Terre di Cosenza Pollino 2019.
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