“Vent’anni fa ero considerato il bischero del paese. Mi dicevano ti metterai a vendere uva.” Oggi Stefano esporta in oltre 35 Paesi ed è considerato uno degli interpreti italiani più autorevoli dell’agricoltura biodinamica.
di Assunta Casiello
Le origini
“Non avevo un blasone, né una cantina e la mia era una famiglia di contadini”. Ferma il ricordo dei suoi esordi Stefano Amerighi, quando a Cortona “vent’anni fa ero considerato il bischero del paese”.
Lui che voleva fare la biodinamica in un territorio antropizzato come la Val di Chiana, lunga vallata disseminata da chimica e diserbi. “Mi dicevano ti metterai a vendere uva.”
Ma quelli erano pure gli anni di Giovanni Scarfone a Messina, di Nino Barraco a Marsala, di Francesco de Franco a Cirò, di Corrado Dottori ad Ancona. I bischeri che raccoglievano le testimonianze di Teobaldo Cappellano, di Fabrizio Niccolaini, di Giovanna Morganti, di Beppe Rinaldi. Di chi, insomma, senza particolari intenzioni di sorta, aveva generato un movimento culturale di alzate di lenzuola bianche in cui lo spazio economico non era preminente. Contava l’etica in agricoltura.
“Un mio maestro assoluto è stato Bruno de Conciliis fu lui che mi diede la spinta per la prima bottiglia sul mercato”.
Da allora è passato un trentennio. Anni che hanno lasciato sedimentare un nuovo immaginario del vino e dove oggi anche uno spazio commerciale riesce a ritrovarsi. I vigneti di Poggiobello di Farneta, vicino a Cortona, però non sono cambiati. E Stefano continua a coltivare quegli 8 ettari a mezzo impiantati a Syrah – le cui marze furono selezionate direttamente da lui nel Rodano meridionale – così come faceva trent’anni fa.
Oggi non c’è dubbio che Cortona venga considerata una terra ad alta densità di cultura enoica.
La rivoluzione coscienziosa
Il viso di Stefano è arguto, lo sguardo vispo e sorridente cesellato in una montatura di occhiali che alleggerisce il senso stesso della vita. Meno forma, più sostanza provando, però, a far passare il moto del cambiamento attraverso le stesse istituzioni “l’anno in cui sono diventato presidente del Consorzio fu lo stesso in cui mi bocciarono l’Apice” quel Syrah in purezza espressione solo delle migliori annate “la nostra argenteria di famiglia" dice Stefano che ha continuato, nel mentre, ad essere presidente di quel territorio, battendo i pugni sul tavolo. Con quella determinazione, che giorno dopo giorno, ha portato le stesse commissioni di valutazione a rivedere le loro convinzioni sulle caratteristiche oggettive dei vini. A Cortona, oggi, non c’è rassegnazione e "anche i piccoli riescono ad aver voce. Certo ancora poco, però nella vita sono gli esempi che contano più di tutto. E oggi, per dire, l’Apice 2016 di sicuro non verrebbe bocciato in commissione”.
Il senso del collettivo
Per cambiare però bisogna fare. “La bellezza è la circolarità del sapere. Il sapere la progressione dell’umanità”. E nelle sue parole si scorge un inesausto senso di fare: “il nostro essere attori in questo contesto economico deve avere come obiettivo il miglioramento dell’ambiente circostante, ma soprattutto dell’ambiente umano”.
Costruire tante piccoli torri può solo generare una desertificazioni culturale. E’, allora, alla politica del collettivo che bisogna puntare se si vuole sopravvivere. Perchè neppure rimanere inchiodati alla cultura del passato ci aiuterà. Una volta dire Mediterraneo era il venticello fresco d’estate e le piogge abbondanti di inverno, adesso significa Tropici: alluvioni, siccità e umidità alle stelle.
E smettiamola di guardare solo al micro cerchio di chi ce la fa, là fuori c’è una mattanza di viticoltori che non arranca neppure. Che non sa come gestire un attacco di peronospera, che si accontenta di prendere 20 € a quintale, che non sa come si vive in questo nuovo modo di vivere. La parola da gestire in quest’epoca non è resilienza, ma è inclusione. “E a me non va che tutto quello che ho imparato resti solo mio. Metto a disposizione la mia visione, il mio sapere, per gli stagisti che vengono in cantina e per chiunque vorrà ascoltarmi”.
Basta classificare, impariamo a sentire
Si inserisce in questo scenario, allora, il vino naturale che “non è un modo di fare vino, ma è una comunità che si riconosce per una visione sociale del mondo differente”. Immagine che evoca come le competenze del singolo da sole non bastino, ma che sia necessario un collettivo in grado di scardinare anche gli annebbiamenti creati dai mercati.
“Fino agli anni 2000 c’erano dei protocolli di vinificazione completamente inutili. Una persona sana di mente si sarebbe resa conto che stava solo buttando soldi”. Ma è proprio l’assenza di collegamento di neuroni che va a tutto vantaggio del mercato dei preparati e della grande industria chimica sempre più brava a maneggiare, con le dovute cautele, anche le parole sostenibilità, naturale o no chimica tra le maglie lasche concesse dalla stessa normativa europea del biologico.
Parole, ormai, diventate stereotipi, confermate, ribaltate, fino al punto di essere parodia di se stesse . L’agito, allora, non sta più nella ricerca semantica di significati ormai svuotati o in categorie preconfezionate di io sono/ tu sei, ma nel collettivo “nell’imparare a sentire la vite e prendere decisioni ragionate”.
Nella libreria di Stefano Amerighi
La rivoluzione del filo di paglia. Un'introduzione all'agricoltura naturale - Masanobu Fukuoka
“La filosofia del non fare. Chimico giapponese che invita a fermarsi, osservare e lavorare su sistemi che si auto generino e rigenerino”.
Introduzione alla permacultura - Bill Mollison e Reny M. Slay
“Il teorizzatore della permacultura. Essenziale per me”.
La terra è viva. Appunti di scienza contadina per una via italiana all'agricoltura biologica - Mario Incisa della Rocchetta
“La grammatica. La storia di quella piccola parcella che oggi è Sassicaia io non l’avevo mai compresa. Più leggevo quelle pagine più ho capito la sensibilità rinascimentale del marchese. Questo libro è degli anni ’60 e c’è già il capitolo sulla tutela della fertilità e sull’idea della rigenerazione dei suoli”.
Impulsi scientifico-spirituali per il progresso dell'agricoltura - Rudolf Steiner
“I fondamenti”.
La lunga rotta. Solo tra mari e cieli – Bernard Moitessier
“Per comprendere i moti umani. I tempi del mare ti insegnano che a volte devi cambiare la rotta, allontanarti anche dal punto di arrivo se i venti sono contrari. Ed è quella maturazione del tempo che ti insegna come raggiungere poi l’obiettivo e a riconoscerlo nel vero significato” .
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