Al teatro del Gusto la sensibilità del grande regista nipponico si racconta attraverso ricette che rimestano ricordi e universi interiori
di Titti Casiello
La cucina come simbolo di identità e da La Città Incantata a Kiki – Consegne a domicilio, da Il mio vicino Totoro a Nausicaa della Valle del vento non c’è una sola opera del regista Hayao Miyazaki, oggi ottantunenne in pensione, nella quale alle pietanze sia stato dato solo il compito di mescolare ingredienti.
Nella sensibilità del più grande esponente dell’animazione nipponica le ricette rimestano invece infanzie, ricordi e universi interiori attraverso quel legame intimo e nostalgico che si crea tra i personaggi e il cibo.
Così in quelle tavole iper-definite - frutto di un’opera certosina dei tanti professionisti che lavorano con lui nello studio Ghibli fondato nel 1985 - la potenza dell’immaginazione è tale da trapassare lo schermo, lentamente, tra le mani dei suoi personaggi, gli ingredienti si sminuzzano, trasformandosi da preparazioni pigre e accurate in pietanze calde, avvolte dal vapore che sanno finanche arrivare a riscaldare l’anima.
Sono immagini che stimolano sensi e suggestioni personali così da fare di Miyazaky indiscutibilmente anche uno chef delle immagini, grazie a quell’epifania gastronomica che diventa elemento trainante delle sue stesse favole, che sono storie di amore e di amicizia, di sentimenti puri privi di materialismo, e quindi magici e utopici per l’epoca in cui viviamo.
Proprio come è anche la cultura gastronomica giapponese con il cibo che assurge a qualcosa di più aulico che un semplice nutrimento per il corpo, diventando condivisione e cura verso l’altro. Quella stessa che ci mette, allora, la nonnina di “Kiki – Consegne a domicilio” dedicandosi con amore alla preparazione del pesce in crosta di pane per il suo nipotino o del legame tra Pazu e Sheeta, i due protagonisti di “Laputa – Castello nel cielo”, che diventa sempre più stretto dopo aver mangiato un uovo fritto su un toast.
In tutte le opere di Miyazaki basta anche solo mettere in pausa e scorgere tra bocche spalancate o appena accennate, bocconi masticati delicatamente o fagocitati, quella stessa fame di emozioni che viviamo come esseri umani e il cibo, allora, che diventa allora esso stesso un modo per esprimerle e talora anche per saperle affrontare.
E’, infatti, grazie a un onigiri che Chihiro ne “La Città incantata” riesce a superare quel senso di spaesamento che la pervadeva dopo essere entrata accidentalmente in un regno soprannaturale, ed è proprio grazie a quel triangolino di riso che recupera energia e riesce a salvarsi dalla maledizione che aveva colpito i suoi genitori. Così come è una colazione a base di pane, uova e pancetta che scioglie la corazza del temuto mago Howl ne il “Castello Errante di Howl” generando una sensazione di infinita tenerezza tra lui e Sophie o è stupore e gioia quella che prova Ponyo (Ponyo sulla Scogliera) davanti a quella zuppa di ramen preparata dalla madre del suo nuovo amico Sōsuke.
Si potrebbe continuare all’infinito con la ricetta del Bento de “Il mio vicino Tototo” agli Anman (panini al vapore) de “La Città Incantata” finendo per la torta Siberia di “Si alza il vento”, tutte ricette che rivivono una nuova vita fuori dalla tavola come un canale privilegiato per il dialogo tra mondo interiore ed esteriore.
Tutto questo è stato sviscerato in un dialogo passionale e appassionato tenuto da Emanuele Tartuferi, scrittore ed oste in quel di Macerata, durante le giornate del Teatro del Gusto a Napoli. “Quelle di Miyazaki sono scene in un mondo immaginario eppure che, in qualche modo tempo fa, ognuno di noi ha realmente abitato. Scene che possono cambiarci profondamente se riusciamo ad abbassare le difese della nostra razionalità adulta” spiega Tartuferi “E’ in queste potenze invisibili, divinità a volte come ne “La Città incantata”, in questi fantasmi onirici, ma non per questo inesistenti che abitano anche i profondi labirinti del vino buono capace di rinnovare lo stupore di quel primo folgorante incontro dell’infanzia”.
E' a quel vino puro che accende gli angoli più sopiti della nostra memoria al quale fa riferimento Tartuferi “quello che può servirci per cambiare il modo in cui ricordiamo o costruiamo il mondo”.
Ed è forse proprio ne “La Città incantata” che la ricerca del vino buono viene delineato con veemenza con i genitori di Chihiro che profanano il cibo degli dei lasciato incustodito e vengono per questo trasformati in maiali e il messaggio di Miyazaki allora arriva conciso e imperante: “L’uomo potrà salvarsi soltanto se metterà un freno al proprio egoismo, solo se tornerà a un uso consapevole delle risorse offerte della natura”.
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